Dietro a ogni laboratorio di ceramico-terapia si nasconde un mondo fatto di sorrisi, di gioia, di riflessioni, un mondo dove la creatività si esprime libera e la fantasia vola senza limiti. Ma la modellazione dell’argilla non è solo uno strumento di gioco e distrazione: è la metafora di un percorso psicologico ben definito. Ce lo racconta la dottoressa Pierpaola Sciarra, psicologa nel reparto di Oncologia pediatrica all’ospedale Santo Spirito di Pescara.
Quanto è importante la manualità nella terapia ricreativa?
“È importantissima, perché si manipola un oggetto che non ha una forma. Da un panetto di argilla, dal nulla, si crea qualcosa che viene prima pensato, mentalizzato e poi si vede materializzarsi. Emerge piano piano: con le proprie mani si crea dal nulla, si superano le difficoltà. Per il bambino e soprattutto per l’adolescente è un aspetto di grande importanza. Per i più piccoli è fondamentale, rappresenta un po’ la prima esperienza, il tatto, la manipolazione; a livello sensoriale gratifica, fa sentire delle sensazioni piacevoli. Per i ragazzi più grandi, vedere crearsi un’opera anche di fronte a una forte insicurezza, trasformare un qualcosa di informe in forma, assume un grande significato”.
Qual è l’approccio dei bambini nei confronti dell’argilla?
“Molte volte ci dicono di non essere capaci a modellarla: “io non lo so fare, non l’ho mai fatto”; e invece poi, vedere che lì insieme al volontario e al ceramista, iniziano a creare qualcosa, un’opera che stanno facendo con le proprie mani, è fondamentale. Dal mentale emerge qualcosa di visivo in cui il bambino dice qualcosa di se stesso che a voce non si può dire. La modellazione dell’argilla ha un’importante valenza tattile, manipolativa, ma anche psicologica”.
La creazione degli oggetti potrebbe essere considerata una metafora del percorso che si sta affrontando?
“Assolutamente sì. Consideriamo intanto che la creazione nasce laddove c’è la volontà. Il bambino arriva qui in ospedale e, bisogna partire dal presupposto che lui in ospedale non ci voglia andare. È la prima forzatura a cui è sottoposto: sono i suoi genitori a portarlo e, anche se il bambino sente di star male, non capisce perché il genitore che, in quel momento viene visto come cattivo, lo stia portando proprio là. A ciò si sommano poi gli operatori che gli fanno tante analisi e test e lui non può dire di no. Arriva la diagnosi e viene proposta la terapia. Certo, viene data l’informazione, ma nei casi dei bambini piccoli non possono scegliere, la terapia è un’imposizione. Con la ceramica è completamente diverso: il bambino si avvicina perché lo vuole fare”.
Quale messaggio viene veicolato durante il processo creativo?
“Nel momento in cui c’è la volontà, il bambino decide anche cosa creare e quella creazione è qualcosa che lui vuole fare. Le difficoltà incontrate durante il processo di modellazione gli rimandano alla mente un messaggio fondamentale: “nonostante gli ostacoli, io posso farcela; nonostante tutte le paure, io ho creato questo oggetto. Sono stato aiutato dall’operatore ma ce l’ho fatta”. Questi aspetti emotivi collegati all’ospedalizzazione e alla malattia vengono fuori con la modellazione, con l’oggetto che viene creato e, anch’essi ci rimandano un messaggio a livello metaforico. Una metafora di grande importanza per il bambino, ma anche per tutti quanti noi”.